Ricettività in condominio: l’ultima decisione della Suprema Corte

Favorevole al Condominio l’ultima decisione della Suprema Corte sullo svolgimento di attività ricettiva in appartamento. Lo scorso 7 ottobre (Ord. Sez. 2 n. 21562/2020) è stato pubblicata una delle più recenti decisioni della Corte di Cassazione sul punto: se il regolamento condominiale limita la destinazione degli appartamenti, escludendo l’uso commerciale, l’interpretazione corretta richiede che non venga consentita l’attività ricettiva di “affittacamere”.

Sono tre gli aspetti rilevanti della decisione.

1. Non rileva la destinazione urbanistica indicata dalla normativa regionale.

Non rilevano quindi per il Condominio gli obblighi di destinazione previsti in ambito amministrativo: se anche la normativa regionale sul turismo prevede per l’affittacamere la destinazione urbanistica di tipo abitativo, come nel caso esaminato, l’indicazione non rileva ai fini civilistici.

2. Non è necessaria la trascrizione del vincolo.

In questa decisione non si parla di servitù. Non è quindi stata considerata necessaria la trascrizione specifica del vincolo: requisito invece previsto da altre decisioni, che avevano individuato i limiti all’esercizio della proprietà previsti nel regolamento condominiale come servitù reciproche e come tali opponibili solo se specificamente individuati e debitamente trascritti.

3. Non chiarisce la distinzione tra locazione di camere o affittacamere

La Corte non affronta il tema della distinzione tra locazione di camere (anche per breve periodo, quali sono i c.d. “affitti brevi” proposti attraverso le O.T.A.) e “affittacamere”: due situazioni radicalmente diverse in ogni risvolto giuridico. E’ quindi da ritenere che nell’appartamento contestato non fossero poste in essere locazioni di camere, ma fosse effettivamente avviata un’attività imprenditoriale di affittacamere, secondo la denominazione individuata da lla normativa turistica della Regione Lazio applicabile a questo caso.

La vicenda esaminata

Un property manager, società di capitali, aveva preso in locazione appartamento in Roma in cui svolgeva attività di affittacamere. L’appartamento si trovava in un Condomìnio il cui regolamento vietava espressamente di destinare le unità immobiliari “ad esercizio o ufficio industriale o commerciale” e imponeva il vincolo di destinazione “a civile abitazione”. Al fine di porre fine alle molestie legate all’attività, il Condominio adiva il Tribunale di Roma per far cessare l’attività ricettiva e ottenere il risarcimento del danno. Il Tribunale condannava proprietario e conduttore dell’unità abitativa alla cessazione dell’attività, riscontrando la violazione del regolamento condominiale. La Corte d’Appello confermava la decisione, rilevando che, seppur “l’attività di affittacamere svolta dalla società conduttrice” non poteva considerarsi “alberghiera”, rappresentava comunque “attività commerciale esplicantesi a scopo di lucro da parte di società di capitali mediante la destinazione sul mercato di alloggio dietro corrispettivo per periodi più o meno brevi” e come tale, senz’altro in contrasto con il regolamento condominiale. Ribadiva inoltre che il proprietario locatore era responsabile in solido con il conduttore.

La decisione

A seguito di ricorso in Cassazione la Corte emetteva ordinanza di rigetto e condannava la proprietaria al pagamento delle spese per oltre 4000 Euro.

Secondo la Seconda Sezione della Suprema Corte la violazione del Regolamento non nasce dal contrasto con “l’uso abitativo” dell’“utilizzo dell’immobile per periodi più o meno brevi in vista del soddisfacimento di esigenze abitative di carattere transitorio”. È la natura commerciale dell’attività svolta all’interno dell’unità immobiliare a renderla incompatibile con il regolamento condominiale, che espressamente la vieta.

Per questi motivi la Corte di Cassazione ha ritenuto che: “l’assimilazione dell’attività di affittacamere a quella imprenditoriale alberghiera (pur differenziandosi da essa per le sue modeste dimensioni)” è coerente con la giurisprudenza della stessa Corte, “in quanto presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, come un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico, prevedendo non solo la cessione in godimento del locale ammobiliato e previsto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno”.

Una pronuncia che si pone in parziale contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali che si stavano consolidando. E che lascia sempre più scoperto questo nervo, alimentando il contenzioso all’interno dei Condomini.

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