Rimasto praticamente inapplicato dalla sua introduzione, il delitto di epidemia, nella sua declinazione colposa, ritorna in auge nelle chiacchere sui social con il diffondersi delle preoccupazioni relative alle misure di prevenzione del contagio COVID-19. Ma non solo. E’ anche sui tavoli della Procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per epidemia colposa contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità -organismo che ha guidato le decisioni delle istituzioni nazionali e locali sulla gestione della pandemia negli ultimi mesi- sulla base di un esposto presentato da Codacons, in cui si chiedeva alla Procura di accertare “il ruolo dell’Oms nella diffusione del virus in Italia e se vi siano stati errori, ritardi o informazioni sbagliate tali da aver alimentato l’emergenza sanitaria in Italia.”
A prescindere dal contesto in cui è menzionato, la più o meno probabile configurazione di questo reato è un argomento che preoccupa in molti, anche nel settore della ospitalità, in cui numerosi sono gli adempimenti imposti dalle norme nazionali e regionali e altrettanti i rischi percepiti. È bene allora fare un po’ di chiarezza.
Se sul piano lessicale, l’etimo della parola (dal greco epi-demos, letteralmente “sul popolo”, e cioè “esteso sul popolo”) porta a definire il vocabolo “epidemia” come “malattia contagiosa che colpisce contemporaneamente gli abitanti di una città o di una regione”, sul piano giuridica natura e portata di questa fattispecie delittuosa vengono perimetrate in modo ben definito e non sempre conforme a quella che è la percezione comune del fenomeno.
Il reato di epidemia è previsto dall’art. 428 c.p., che recita: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. La fattispecie è configurabile anche nella forma colposa, in virtù del rinvio effettuato dall’art. 452 co.1 n.2 c.p.
Gli elementi costitutivi del delitto sono stati tratteggiati diverse volte dalla giurisprudenza, per lo più per escluderne la sussistenza. Sul punto, la Cass. Civ. Sez. Un., Sent. n. 576 dell’11 gennaio 2008 ne ha individuato le caratteristiche: “diffusività (dei germi patogeni) incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti […], l’assenza di un fattore umano imputabile per il trasferimento da soggetto a soggetto […], il carattere contagioso e diffuso del morbo e la durata cronologicamente limitata del fenomeno (poiché altrimenti si verserebbe in endemia).”
E ha definito il delitto come: la “volontaria diffusione di germi patogeni, sia pure per negligenza, imprudenza o imperizia, con conseguente incontrollabilità dell’eventuale patologia in un dato territorio e su un numero indeterminabile di soggetti”.
La stessa descrizione del fenomeno epidemico è stata accolta dalla Cass. Pen. Sez. I., che con Sent. n. 48014 del 26 novembre 2019, che l’ha definito (anche questa volta escludendolo) “come una malattia contagiosa con spiccata tendenza a diffondersi sì da interessare, nel medesimo tempo e nello stesso luogo, un numero rilevante di persone, una moltitudine di soggetti, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione e agevole propagazione del contagio, un pericolo di infezione per una porzione ancora più vasta di popolazione”.
Se fino ad ora la sussistenza di questa tipologia di reato è stata per lo più esclusa per l’inidoneità dell’evento provocato di tale capacità di propagazione, è invece vero che le caratteristiche dell’evento epidemia così come descritte dalla giurisprudenza, ben sarebbero compatibili, anche stando alle indicazioni proprio dell’OMS, con le modalità di diffusione ed azione del morbo COVID-19.
Attenzione però, non qualsiasi violazione dei numerosi adempimenti, per lo più di natura amministrativa, individuati a livello nazionale o regionale cui i cittadini e operatori economici devono adeguarsi può comportare la realizzazione del reato in questione.
La teoria del reato richiede, per la sua configurazione, oltre ad una condotta colpevole, e quindi una condotta dell’agente caratterizzata dall’inosservanza di regole cautelari (negligenza, imprudenza o imperizia) e il verificarsi dell’evento-epidemia così come specificato dalla giurisprudenza, che sia provata l’esistenza di un nesso causale tra l’evento e la condotta colpevole dell’agente. Ovvero, che “l‘evento sia ricollegabile all’omissione […] nel senso che esso non si sarebbe verificato se […] l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. […]” (Cass. Civ. n. 576/2008)
Pertanto, è bene porre attenzione al corretto significato, funzione e portata di questa fattispecie delittuosa, spesso malamente evocata. Il reato di epidemia colposa non sussiste in caso di violazione di norme di condotta, anche se imposte al precipuo scopo di arginare il fenomeno epidemico: per esempio, le prescrizioni e linee guida imposte ai turisti, da una parte, e agli operatori della Hospitality – albergatori, gestori di strutture ricettive, Property manager o locatori – dall’altra. Rimane infatti la (quasi assoluta) impossibilità di individuare e accertare un idoneo nesso di causalità tra l’evento epidemico e la condotta dell’agente (turista, operatore o ente od organismo pubblico) . Una “idoneità” che sarà di volta in volta valutata dalla magistratura alla luce dei complessi principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di nesso causale, che rendono questa connessione davvero difficile da configurare e tantomeno provare.