Check-in online e problemi di legittimità

Riaffiorano dubbi sul check-in online nelle case offerte sul mercato Hospitality.

Dubbi generati, da una parte, dall’opinione di alcune Questure che interpretano rigidamente gli obblighi di identificazione e comunicazione dei guest previsti dalla normativa penale applicabile (si tratta dell’Art. 109 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, noto come TULPS. Un articolo che, secondo l’Art. 19-bis D.L. 113/2018 conv., “…si interpreta nel senso che gli obblighi in esso previsti si applicano anche con riguardo ai locatori o sublocatori che locano immobili o parti di essi con contratti di durata inferiore a 30 giorni”). Dall’altra, proprio queste interpretazioni rigide di alcune Questure fanno nuovamente affiorare i dubbi sulla legittimità delle relative norme, incompatibili con l’impianto civilistico del nostro ordinamento.

La disposizione interpretativa del 2018 voleva colmare un vuoto normativo, posto che per le locazioni di durata superiore ai 30 giorni la verifica da parte dell’Ordinamento era prevista grazie alla normativa sulla c.d. “cessione fabbricati” (art. 12 del D-L 21 marzo 1978, n. 59, conv. in L.18 maggio 1978, n. 191), oggi  sostanzialmente assorbita dall’obbligo di  registrazione del contratto (come spiegato dalla Circolare n. 557/LEG/010.418.6 del 31 Maggio 2011).

Il conflitto tra due impianti normativi

L’opinione recente di alcune (poche) Questure è che l’identificazione di ogni guest, sia da parte del gestore della struttura ricettiva che del locatore di appartamento privato, debba avvenire di persona, con esibizione di un valido documento presso la struttura prima di dare alloggio a qualsiasi ospite pernottante. Una verifica che non potrebbe essere sostituita da forme di identificazione a distanza. Tuttavia, un’interpretazione così spinta della norma, già difficilmente applicabile a chi conclude contratti di locazione, si discosta vistosamente dai principi dell’ordinamento civilistico.

Abbiamo parlato, della portata di tale contrasto, con il prof. Alessio Lanzi e l’avv. Angelo Giuliani, entrambi partner penalisti di Hospitality Law Lab, e con l’avv. Donatella Marino, civilista, autrice del contributo pubblicato su Euroconference Legal: https://www.eclegal.it/check-online-problemi-legittimita-parte-1-profili-penali-art-109-tulps/, cui rimandiamo per alcuni primi chiarimenti. 

Spiega Lanzi che “la formulazione originaria dell’art. 109 TULPS prevedeva obblighi di identificazione e comunicazione dei dati degli ospiti esclusivamente a carico di alberghi e  gestori di strutture ricettive. Con lo sviluppo dei cosiddetti “affitti brevi” conclusi tramite le piattaforme come Airbnb si evidenziava però una lacuna nel sistema, in quanto sfuggivano al controllo coloro che alloggiavano in case private per periodi inferiori ai 30 giorni. Il Legislatore è dunque intervenuto per realizzare così un efficace strumento di supporto alle Forze di Polizia nel rintracciare eventuali ricercati”.

Chiarisce Giuliani che “l’art. 109 TULPS rappresenta un illecito penale di natura contravvenzionale, come tale punibile a titolo sia di dolo sia di colpa, che prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206,00 Euro. La norma prevista dal D.L. 113/2018 conv. ha avuto in effetti il merito di colmare un importante vuoto per le locazioni inferiori ai trenta giorni”.

Quanto alle problematiche applicative, aggiunge la Marino che “la norma era ben pensata, nel Regio Decreto del 1931, per alberghi e strutture ricettive dotati di formule di accoglienza e reception all’arrivo dei viaggiatori. L’estensione alle formule del mercato cosiddetto non (o extra) alberghiero, spesso privo di reception, aveva già generato problemi. La disposizione interpretativa del 2018 che estende dunque ai locatori (per periodi inferiori ai 30 giorni) questi obblighi genera poi ulteriori seri temi di conflitto con i principi civilistici in quanto incompatibile con la natura del contratto di locazione”. 

Le ricadute applicative sono importanti. Conclude infatti la Marino che, “applicando l’interpretazione restrittiva proposta da alcune Questure, si richiederebbe, per esempio, al locatore (proprietario o gestore/property manager dell’immobile)  che concede in locazione una casa, magari ampia e magari per qualche settimana, di impedire all’inquilino di ospitare amici e parenti se non previa identificazione, in presenza, di ogni ospite invitato durante il soggiorno. Dal punto di vista civilistico, una simile ingerenza da parte del locatore nel godimento dell’alloggio da parte del guest, oltre che risultare impraticabile senza il ricorso al check in a distanza, snaturerebbe il contratto di locazione”.

Rispondi