L’Art. 13-quater del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (c.d. Decreto Crescita), convertito in L. 28 giugno 2019, n. 58, intitolato “Disposizioni in materia di locazioni brevi e attività ricettive” può essere accolto in due modi. Con fastidio, se ci si sofferma sull’intento di controllo e sulla introduzione di nuovi adempimenti – al limite della compressione del diritto di proprietà – volti solo a far emergere un sommerso fiscale, che in questo settore disturba più che in altri a causa dello scorretto svantaggio competitivo che crea alle categorie contigue. Può invece essere accolto con favore se invece si intravede nel gesto del Legislatore una presa d’atto della nascita, nella prassi e quindi negli usi – che in qualche modo hanno una loro valenza giuridica – di un nuovo sottotipo di locazione ad uso abitativo che, per la sua durata estremamente breve – aspetto però affatto chiarito dalle nuove norme – mutua alcuni elementi dal contratto di ospitalità o alloggio in albergo senza per questo poter essere considerato tale.
L’approccio dell’attuale Legislatore però non risolve il problema di fondo: la contrapposizione tuttora vigente sul piano civilistico e fiscale di due corpi normativi, il locativo-abitativo e il ricettivo, ad oggi incompatibili.
Affrontiamo dunque oggi il comma 2 dell’art. 13 quater. Nel suo tentativo di far affiorare i “locatori sommersi” il Legislatore introduce qui un più incisivo meccanismo di controlli incrociati e la previsione di nuove sanzioni. La norma presenta però limiti di tenuta giuridica. Innanzitutto non è chiara nella individuazione dell’ambito soggettivo, e cioè dei destinatari della previsione. Ma sul punto torneremo. L’aspetto che però continua a sfuggire è che il comma 2 della nuova norma – secondo cui “i dati risultanti dalle comunicazioni di cui all’articolo 109, comma 3, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (…) (c.d. TULPS), sono forniti dal Ministero dell’interno, in forma anonima e aggregata per struttura ricettiva, all’Agenzia delle entrate che li rende disponibili, anche a fini di monitoraggio, ai comuni che hanno istituito l’imposta di soggiorno (…). Tali dati sono utilizzati dall’Agenzia delle entrate, unitamente a quelli trasmessi dai soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare (…) ai fini dell’analisi del rischio relativamente ai corretti adempimenti fiscali”– genera un apparato destinato a essere in parte disatteso o latore di un elevato contenzioso che potrebbe paralizzare le amministrazioni.
Volendo infatti estendere, con una forzatura interpretativa, il nuovo disposto alle locazioni brevi, si conferma e consolida una delle principali criticità e incongruenze di questa impalcatura: la contraddizione tra questa prescrizione e l’essenza stessa del contratto di locazione dal punto di vista civilistico, che prevede la cessione dell’uso esclusivo dell’immobile senza che possano essere posti limiti all’inquilino nel suo utilizzo. Tema che non si porrebbe nelle locazioni brevissime, quelle di pochi giorni, ma non è di queste che la norma parla. Ne risulta una previsione non eseguibile e ontologicamente incongruente con il contratto di locazione.
Come già chiarito nel testo “La nuova ospitalità turistica – Dalle strutture ricettive tradizionali alle recenti formule” scritto da alcuni dei nostri professionisti, per “ottemperare ai richiesti adempimenti, il locatore – o l’intermediario – dovrebbe imporre all’inquilino, nel contratto di locazione, l’obbligo di comunicare la presenza di tutti coloro che di volta in volta andrà a ospitare nel corso della locazione, così interferendo in modo significativo nell’uso esclusivo del bene locato e, quindi, nella privacy del conduttore”.
In altre parole, che senso ha imporre all’inquilino che intende utilizzare l’alloggio locato per qualche settimana di villeggiatura con la propria famiglia, di impegnarsi con apposita clausola contrattuale, ricorrente in molti standardi di contratto di locazione breve in circolazione, a comunicare preventivamente al locatore il nominativo di chiunque in questo periodo venga invitato a “pernottare” nell’appartamento? Questo obbligo sarà, come è già, regolarmente violato e il sistema dei controlli sarà costretto, alternativamente, a chiudere un occhio oppure a rischiare una probabile soccombenza in Tribunale o persino l’esposizione a una censura in sede costituzionale. Diverso sarebbe se l’obbligo (di comunicazione alla Questura e di pagamento della tassa di soggiorno) fosse posto solo nei confronti dell’inquilino, ovvero della controparte dell’accordo locativo. Ma ad oggi, così non è.
Qualche chiarimento potrebbe giungere dal decreto attuativo. Il comma 3 dell’Art. 13-quater, infatti, prevede che “i criteri, i termini e le modalità per l’attuazione delle disposizioni del comma 2 sono stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, che si pronuncia entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione. Decorso il termine di quarantacinque giorni, il decreto può essere comunque adottato”.
L’assimilazione tout court dei locatori che offrono i loro alloggi per periodi inferiori ai trenta giorni con i gestori di strutture ricettive per alcuni aspetti amministrativi o penali è a nostro avviso pericolosa. Le norme scoordinate con i principi dell’ordinamento si prestano a essere disattese e le sanzioni eventualmente irrogate su basi sbagliate potrebbero portare a impugnative che andrebbero solo ad affaticare il sistema giudiziario ma, ancor prima, le Pubbliche Amministrazioni. Meglio sarebbe se invece il Legislatore riuscisse a regolare in modo chiaro, coerente e competente la vera novità del settore della Hospitality – le locazioni brevissime – in modo da smontare il mercato sommerso e irregolare e favorire la nascita di un nuovo segmento di Hospitality corretto e ben regolamentato.
