Alberghi e appartamenti per turisti vuoti: la crisi da Covid 19 finirà per avere ricadute non solo su turismo e Hospitality ma su tutto il mondo del Real Estate. Molte strutture ricettive sono rimaste costrette nella morsa tra canoni di locazione alti e la chiusura della struttura per assenza dei clienti. Così anche i gestori di immobili (propri o altrui, i c.d. Property manager, specie se poco attrezzati e con un portafoglio poco vario) che tra i numerosi tipi di contratti utilizzati con i proprietari privilegiano il tradizionale “vuoto per pieno” concordando con i proprietari locazioni di lungo periodo sugli immobili che vanno poi a sublocare.
Questa formula contrattuale tradizionale e di per sé ancora valida, ricorrendo alcuni presupposti, consente al gestore la massima flessibilità di utilizzo e al proprietario la tranquillità di un’entrata garantita nel tempo, rassicurati spesso dall’affidabilità del conduttore professionale.
Ovviamente c’è il rovescio della medaglia: per il proprietario si tratta di adattarsi a un canone solitamente piuttosto contenuto e alla rigidità dell’investimento, rimanendo l’immobile ingessato, non fruibile e non vendibile, per un periodo lungo. Per la struttura ricettiva o al Property Manager invece il rischio è l’“invenduto”, che diventa insostenibile in contingenze come l’attuale.
Se ben redatti questi contratti prevedono al proprio interno già adeguati rimedi specificamente negoziati e accettati dalle parti allo scopo di fronteggiare queste eventualità in modo equilibrato. Il problema si pone per chi di tali specifiche pattuizioni non può valersi e deve affidarsi alle normative applicabili.
Se di legge italiana si tratta, la disciplina civilistica dei contratti a prestazioni corrispettive ha predisposto una specifica tutela a favore della parte per la quale il peso dell’obbligazione assunta è divenuta eccessivamente onerosa per il sopravvenire di avvenimenti straordinari e come tali imprevedibili. Al di là, si badi, dell’alea normale che segue ad ogni operazione economica.
Recita l’articolo 1467 del Codice civile: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto“.
Questo istituto è previsto dal legislatore per far fronte all’alterazione dell’equilibrio dello scambio delineato dalle parti ed è perfettamente applicabile ad un contratto di locazione. Si veda, tra le tante, l’interpretazione di tali principi offerta dalla Suprema Corte (Cass. Civ. 22396 del 2006) secondo cui “L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 cod. civ., la risoluzione del contratto richiede la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall’altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza. L’accertamento del giudice di merito circa la sussistenza dei caratteri evidenziati è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi.”
Aggiungendo inoltre “…che – ai fini dell’accoglimento della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità’ – non e’ sufficiente la prova dello squilibrio sopravvenuto tra le due prestazioni, ma occorre anche provare che lo stesso sia stato causato da un andamento del tutto anomalo del mercato.”
Quello offerto dall’Art. 1467 c.c. è solo uno dei rimedi giuridici disponibili nel nostro ordinamento per fronteggiare la crisi. L’approccio preferibile però rimane quello non conflittuale: sedersi intorno a un tavolo condividendo la criticità con le altre parti del contratto muniti di strumenti legali ma anche di tanto buon senso resta in questi momenti la ricetta migliore.
